Essere umani

Niccolò campeggia su un’enorme facciata delle case popolari del Bronx di San Giovanni a Teduccio, hinterland orientale di Napoli. Lo ha dipinto Jorit, Street Artist di madre olandese e sangue napoletano.
Guardiamo Niccolò, e quelle strisce rosse sul volto, un fregio tipico di certe società africane, che significa appartenenza ad una stessa comunità. E improvvisamente ci accorgiamo che è lui a guardarci, e soprattutto a interrogarci.
Il suo volto, con gli occhi bassi e lo sguardo sfuggente. L’interiorità che straripa da quell’immagine, da quella fisiognomica limpida e inafferrabile come un ideogramma, ci sfugge, e al tempo stesso ci colpisce come un lampo. Grazie all’artista che riesce a far brillare quella scintilla di non comune umanità che di solito chiamiamo talento. E che rende certe persone diverse dalle altre. Le segna con un colpo di evidenziatore della sorte. Ma che in ogni caso ne sottolinea il destino di una vita singolare. Di differenza che noi trasformiamo in disuguaglianza, a causa della nostra incapacità di capire e di mettere a frutto quella singolarità.
Diceva Hans Asperger che per sfondare nella scienza, e nell’arte, un pizzico di autismo è necessario. Ma ogni personalità straordinaria, eccedente per addizione o per sottrazione, ci mette all’angolo, e ci costringe a rivelare che ad essere inadeguati siamo noi, i diversamente normali. Che abbiamo l’anima in centro. E dell’hinterland tutto ci sfugge, ci spaventa, ci inquieta. Che sia hinterland urbano o hinterland dell’essere.
In fondo, la periferia è una forma di autismo sociale, e l’autismo una forma di periferia individuale. Di cui non riusciamo a trovare la chiave.
E proprio a questa dimensione nascosta e dissipata allude lo sguardo inviolabile di Niccolò, che sembra indicare un’altra realtà, a noi preclusa. Quella ricchezza di umanità, di potenzialità, di occasioni perdute, di chances negate. Questo sembra dirci Jorit. Che l’autismo è una domanda, e non una tragedia. E che la vera tragedia è l’ignoranza della domanda.

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